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Riflessioni sulla DGR 714 sui DSA

Era il 21 agosto 2021, un mese dopo l’uscita della DGR 714 del 12 luglio 2021 sui DSA, quando scrivevo alla Regione le mie riflessioni circa le criticità che vedevo nella nuova delibera. Ad oggi sono ancora tristemente attuali e purtroppo quelle che all’epoca erano solo previsioni nel frattempo si sono avverate.


La prima questione fondamentale riguarda il diritto alla salute in termini di modalità di accesso a una prima diagnosi presso il servizio pubblico.

La scuola non può essere in grado di identificare nei primi due anni di scuola se le difficoltà riscontrate da un bambino sono addebitabili a un sospetto disturbo specifico dell’apprendimento o ad altre caratteristiche cliniche, pertanto ritardare l'accesso al termine della seconda primaria non permette a tutta un'altra serie di disturbi di essere identificati in tempo utile per una presa in carico tempestiva e un intervento efficace.

Non è chiaro cosa nella delibera si intenda per “periodo di adeguamento didattico”, dato che la normativa scolastica non prevede un adeguamento didattico bensì “interventi di recupero” (linee guida MIUR allegate al DM 5669 del 12/07/2011) e conseguentemente anche le nostre linee guida regionali parlano di “osservazione” e “potenziamento”. La stessa Legge 170/2010 all’art.3 c.2 le definiva “attività di recupero didattico mirato”.

L’adeguamento della didattica è infatti necessario in tutti i casi di difficoltà e non soltanto quando si ha una certificazione di DSA (è la scuola che si adegua allo studente e non viceversa, come ricordato da tutta la normativa sui bisogni educativi speciali).

Inoltre, vincolare l'accesso al servizio ad una relazione scritta da parte della scuola di fatto scoraggia l'accesso anche dopo la seconda primaria. Una “comunicazione scritta” da parte della scuola è prevista dalla legge 170/2010 nel caso sia stato svolto il recupero didattico mirato, ma che succede quando non viene svolto? Purtroppo nella realtà raramente viene fatto e ancora più raramente la scuola è disposta a stilare una relazione scritta.

Una famiglia dovrebbe avere il diritto di far valutare il funzionamento neuropsicologico del proprio figlio in qualsiasi momento, dato che non esistono solo i DSA, e tale ritardo nella valutazione non può essere scaricato come responsabilità sulle capacità di osservazione di un insegnante, che non è tenuto a saper discriminare se si tratta di difficoltà specifiche o conseguenti ad altre condizioni cliniche.

Di fatto si lede il diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dal servizio pubblico e non fa che costringere le famiglie a rivolgersi al privato. Chi viene da noi privati il più delle volte non chiede di avere una certificazione, spesso non sa nemmeno cosa è un DSA: chiede a cosa sono dovute le difficoltà del proprio figlio e come poterlo aiutare. Che dovremmo rispondere, che prima della fine della seconda primaria nemmeno vogliamo vedere il bimbo perché “potrebbe” avere un DSA?

 

Il secondo punto riguarda la certificazione neuropsichiatrica proposta per la valutazione della gravità del disturbo.

Chi fa una diagnosi di DSA (e vale anche per le certificazioni) è già tenuto a indicare i criteri di gravità nella relazione, come dal modello allegato all’accordo Stato-Regioni del 2012. Prevedere una ulteriore formalizzazione attraverso uno specifico modello di certificazione neuropsichiatrica appare superfluo e non condivisibile. E perché poi emessa solo dal neuropsichiatra e non dallo psicologo?

Mi preme ricordare che i criteri di gravità non sono soltanto di tipo clinico, ma soprattutto in termini di adattamento alla vita quotidiana, che è il criterio che viene valutato sia in caso di richiesta delle tutele della legge 104 che dell'indennità di frequenza.

Per quanto riguarda le future linee guida sugli aspetti medico-legali relativi ai DSA, prospettate fin dalla prima delibera regionale del 2012 e mai realizzate, riterrei utile la partecipazione di una rappresentanza delle équipe private autorizzate e soprattutto della figura dello psicologo, che da sempre si occupa del funzionamento adattivo.

 

Il terzo punto è sulla possibilità di aggiornamento del profilo funzionale solo se il clinico lo ritiene opportuno.

Non si comprende come la Toscana indichi che l'aggiornamento è soltanto a discrezione del clinico, quando l’Accordo Stato Regioni del 2012 (art.3 c.3) aveva espressamente indicato il momento dell'aggiornamento, cioè al passaggio ad altro ordine di scuola o “ogni qualvolta sia necessario modificare l’applicazione degli strumenti didattici e valutativi necessari, su segnalazione della scuola alla famiglia o su iniziativa della famiglia”.

Inoltre, richiedere che le richieste vengano “supportate con una relazione scritta della scuola” di nuovo limita l’accesso. Trattandosi di disturbi evolutivi che modificano la loro espressività nel tempo, prevedere un aggiornamento è fondamentale, ovviamente non per disconfermare una diagnosi che purtroppo caratterizzerà la persona tutta la vita, ma per monitorare le modalità di apprendimento, i meccanismi di compensazione, le conseguenze sullo sviluppo in modo da prevedere un intervento davvero personalizzato e che riesca a ridurre l'insorgenza di problematiche di salute mentale di pertinenza psicologica o psichiatrica che diventerebbero nuovo motivo di invio ai servizi.

Indicare nella certificazione che “la stessa è ritenuta valida per l'intero corso di studi del sistema istruzione” confligge con quanto indicato nell’Accordo Stato Regioni del 2012 e non è supportato da motivazioni di tipo clinico. La presenza del disturbo può essere considerata stabile, ma non il profilo clinico di funzionamento neuropsicologico, da qui l'esigenza di riaggiornarlo.

Il risultato sarà che le famiglie si rivolgeranno al privato, ma è veramente assurdo che il riaggiornamento non sia un diritto garantito dal servizio pubblico e che le famiglie debbano spendere per veder riaggiornato il profilo.


Nell'allegato della delibera viene menzionata la Legge 170, indicando che definisce le modalità di diagnosi e di certificazione, mentre di fatto la L.170/2010 parla soltanto di diagnosi. Il termine certificazione compare per la prima volta due anni dopo nell’Accordo Stato Regioni sui DSA (2012) e per quanto riguarda l'ambito scolastico viene poi chiarito in una nota esplicativa del MIUR (prot.0002563 del 22/11/2013).

Il DM 5669/2011 non integra le linee guida cliniche, ma emana sotto forma di allegato le linee guida per l’ambito scolastico, senza entrare nel merito degli aspetti sanitari.

 

Riguardo alla diagnosi, l’essere rilasciata da un neuropsichiatra infantile o da uno psicologo può ritenersi valido per diagnosi diverse da quelle di DSA, mentre non capisco come una figura sanitaria che rilasci diagnosi di DSA (psicologo o medico) possa esimersi da quanto indicato nelle Linee Guida nazionali dell’Istituto Superiore di Sanità (2011) attualmente vigenti, ossia possa effettuare una valutazione senza un’équipe minima multidisciplinare, anche nel caso non sia formalmente accreditata o autorizzata dalla Regione a rilasciare certificazioni. Da quanto scritto nella delibera, ad esempio, io potrei serenamente fare diagnosi da sola, abbassando i costi dato che posso fare a meno dell’equipe, e poi rimandare al servizio pubblico per la certificazione. È questo il senso? Posso fare diagnosi di DSA senza esame obiettivo neurologico? Senza NPI né logopedista? Contravvenendo quindi a quanto indicato nelle Consensus e linee guida?

Inoltre, il documento quando definisce cos'è la certificazione indica che può essere rilasciata da strutture cliniche pubbliche e accreditate. In questo passaggio sono state dimenticate le equipe private autorizzate dalla Regione Toscana, che non sono strutture sanitarie, ma che possono rilasciare certificazioni di DSA.


Nel passaggio successivo, quando si parla di cosa succede agli alunni di possesso di una diagnosi e non di una certificazione, di nuovo vengono menzionate solo le strutture: la diagnosi potrebbe essere rilasciata anche da un’équipe o da un team multidisciplinare, non soltanto da una struttura.

Ritengo queste specifiche fondamentali, poiché usare in maniera indifferenziata il termine struttura per intendere un team di professionisti ha portato in passato a problemi che impedivano ai professionisti di farsi riconoscere il ruolo certificatorio in Toscana, portando alle varie modifiche della delibera regionale del 2012 che ben conosciamo.


Per quanto riguarda la scuola, è indicato nel documento cosa fare alla primaria e cosa alla secondaria di secondo grado, senza menzionare la secondaria di primo grado, ossia la scuola media. Dato che è specificato che il “periodo di adeguamento didattico” riguarda tutti gli studenti eccetto quelli della secondaria di secondo grado, desumo si volesse intendere che anche alla scuola media non si può accedere al servizio se tale periodo di adeguamento didattico non è stato svolto. È così?

Il richiedere una relazione scritta della scuola (in ogni caso) rischia di diventare motivo di mancato invio i servizi, dato che raramente la scuola è disponibile a mettere per iscritto le difficoltà osservate, soprattutto alla scuola secondaria di primo (scuola media) e di secondo grado (scuola superiore).

 

 

In conclusione, concordo con la necessità al momento della revisione completa delle linee guida regionali, in seguito all’emanazione delle linee guida nazionali, della partecipazione all’apposito gruppo di lavoro di una rappresentanza delle équipe autorizzate toscane, che possa offrire un ulteriore punto di vista nell’ottica di una proficua collaborazione con la Regione.